La

Corte dei Conti

N. 13/SSRRCO/QMIG/16

A Sezioni riunite in sede di controllo

Presiedute dal Presidente Angelo BUSCEMA

e composte dai magistrati

Presidenti di sezione Raffaele DAINELLI, Enrica LATERZA, Carlo CHIAPPINELLI, Giovanni COPPOLA;

Consiglieri

Anna Maria Rita LENTINI, Mario NISPI LANDI, Roberto BENEDETTI, Enrico FLACCADORO, Luisa D’EVOLI, Paola COSA, Adelisa CORSETTI, Natale Maria Alfonso D’AMICO, Francesco TARGIA, Elena BRANDOLINI, Lucia D’AMBROSIO, Maria Teresa D’URSO, Donatella SCANDURRA, Luca FAZIO, Alessandra SANGUIGNI, Giuseppe Maria MEZZAPESA, Laura D’AMBROSIO, Marco BONCOMPAGNI, Angela PRIA.

 

VISTO il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni;

VISTO il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo, approvato dalle Sezioni riunite con deliberazione 16 giugno 2000, n. 14/DEL/2000, e successive modificazioni;

VISTO, in particolare, l’art. 6, comma 2, di detto regolamento;

VISTO l’art. 17, comma 31, del DL 1 luglio 2009 n. 78, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102;

VISTA la deliberazione n. 63, depositata il 17 marzo 2016, della Sezione regionale di controllo per la Regione Marche, con cui è stata sospesa la pronuncia sulla richiesta di parere pervenuta dal Sindaco del Comune di Jesi, in merito alla corretta interpretazione dell’art. 41, comma 4 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, nell’ambito di procedure espropriative, ed è stata rimessa la questione di massima al Presidente della Corte dei conti;

VISTA l’ordinanza n. 21 del 27 giugno 2016, con la quale il Presidente della Corte ha deferito alle Sezioni riunite in sede di controllo l’esame e la pronuncia in ordine alla questione prospettata, ravvisando “l’eccezionale rilevanza ai fini del coordinamento di finanza pubblica ovvero l’applicazione di norme che coinvolgono l’attività delle Sezioni centrali di controllo”;

UDITO nella Camera di Consiglio del 25 luglio 2016, il relatore, consigliere Alessandra SANGUIGNI;

 

RITENUTO

 

1. La Sezione regionale di controllo per le Marche, con la deliberazione n. 63 del 17 marzo 2016, nell’esercizio della funzione consultiva, ha sottoposto al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alla Sezione delle Autonomie, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del DL 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in L. 7 dicembre 2012, n. 213, o alle Sezioni riunite in sede di controllo, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del DL 1 luglio 2009 n. 78, convertito in L. 3 agosto 2009, n. 102, la questione di massima in ordine a specifiche problematiche interpretative, riguardanti la possibilità o meno da parte di un ente locale di finanziare con mutuo i debiti fuori bilancio derivanti da procedure espropriative, anche per le voci per rivalutazione e interessi, alla luce della discrasia con quanto previsto nelle circolari della Cassa depositi e prestiti n. 1255 del 2005 e la attuale n. 1280 del 2013.

Con l’ordinanza in oggetto, il Presidente della Corte ha deferito alle Sezioni riunite in sede di controllo in sede di controllo l’esame e la pronuncia in ordine alla questione prospettata nella citata deliberazione n. 63 della Sezione regionale di controllo delle Marche, ravvisando nella fattispecie la “eccezionale rilevanza ai fini del coordinamento della finanza pubblica ovvero l’applicazione di norme che coinvolgono l'attività delle Sezioni centrali di controllo” tali da comportare la competenza delle predette Sezioni riunite. Nello specifico, l’ente locale ha formulato una richiesta di parere al fine di conoscere, nell’ambito di fattispecie ablatorie, se:

“1) siano finanziabili con mutuo le somme liquidate dal Tribunale, comprendenti l’indennità di espropriazione e gli interessi moratori fino alla data di deposito della sentenza ad eccezione delle spese di giudizio e delle spese legali, come sostenuto dalla Cassa Depositi e Prestiti, in quanto facenti parte delle somme da erogare a titolo di corrispettivo ai soggetti espropriati e decorrenti dalle date di stipula degli atti;

2) invece siano finanziabili con mutuo esclusivamente le indennità di esproprio ma non gli interessi moratori, data la loro natura di spesa corrente;

3) se, in alternativa, siano finanziabili con mutuo le indennità di esproprio e gli interessi moratori maturati fino alla data del 7 novembre 2001, data di entrata in vigore della Legge Costituzionale n. 3/2001.”

Trattasi, riferisce il Comune, di un debito fuori bilancio derivante da tre sentenze esecutive, depositate in data 15.10.2015, conseguenti ad una procedura di esproprio iniziata nel 1982.

In sede istruttoria, in data 14 luglio 2016, sono stati all’uopo convocati i rappresentanti del Ministero dell’economia e finanze – I.Ge.P.A., del Ministero dell’interno - Dipartimento della Finanza locale - e della Cassa depositi e prestiti, al fine di acquisire elementi ulteriori e di prendere atto delle argomentazioni delle singole amministrazioni coinvolte.

 

2. Al riguardo si ritiene doveroso richiamare preliminarmente il quadro normativo di riferimento.

Il principio costituzionale in materia di indebitamento si ravvisa nell’art. 119, ultimo comma, della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, il quale dispone che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. All’art. 119 della Costituzione, come modificato ulteriormente dalla Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, dopo il riconoscimento dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle autonomie territoriali, è stata aggiunta la seguente specificazione: «nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci», nonché l’inciso: «concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Al secondo periodo del sesto comma, secondo cui le autonomie «Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento», è stato poi aggiunto l’inciso: «con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio».

Orbene, a seguito della costituzionalizzazione del principio del ricorso all’indebitamento esclusivamente per il finanziamento di spesa per investimento, al fine di dare compiuta attuazione al predetto principio, il legislatore, ha sanzionato la violazione del precetto costituzionale, prevedendo con la legge 289/2002 (legge finanziaria 2003), art. 30 comma 15, la nullità per gli atti ed i contratti posti in essere in violazione dell’art. 119 Cost. medesimo e configurando una ulteriore sanzione irrogabile dalla Sezione giurisdizionale regionale competente, in caso di comportamenti confliggenti con il divieto affermato nella disposizione costituzionale.

La legge 448/2001, art. 41 comma 4, in ordine ai profili temporali, ha precisato che, per il finanziamento di spese di parte corrente, il comma 3 dell’articolo 194 del TUEL si applica limitatamente alla copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Successivamente il legislatore, con la L. 350/2003 (Legge finanziaria per l’anno 2004) ha contribuito ad estendere la platea dei soggetti istituzionali obbligati al rispetto della norma costituzionale (in particolare l’art. 3, comma 16, 21 e 21 bis della citata legge): le Regioni a statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b), del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ad eccezione delle società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. Le Regioni a statuto ordinario possono, con propria legge, disciplinare l'indebitamento delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere e degli enti e organismi di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76, solo per finanziare spese di investimento; le disposizioni predette si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché agli enti e agli organismi individuati nel comma 16 situati nei loro territori, ai fini della tutela dell'unità economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza pubblica 1

La legge ha quindi delineato il perimetro delle nozioni di investimento e di indebitamento (commi 17 e 18). Nello specifico, nel comma 17, ha configurato quale indebitamento agli effetti dell’art. 119, sesto comma, della Costituzione l’assunzione di mutui, l’emissione di prestiti obbligazionari, le cartolarizzazioni relative a flussi futuri di entrata, a crediti e a attività finanziarie e non finanziarie, l’eventuale somma incassata al momento del perfezionamento delle operazioni derivate di swap (cosiddetto upfront), le operazioni di leasing finanziario stipulate dal 1 gennaio 2015, il residuo debito garantito dall’ente a seguito della definitiva escussione della garanzia. Inoltre, costituisce indebitamento il residuo debito garantito a seguito dell’escussione della garanzia per tre annualità consecutive, fermo restando il diritto di rivalsa nei confronti del debitore originario. Dal 2015, gli enti di cui al comma 16 dell’articolo 3 in parola rilasciano garanzie solo a favore dei soggetti che possono essere destinatari di contributi agli investimenti finanziati da debito e per le finalità definite dal comma 18. Non costituiscono indebitamento, invece, agli effetti del citato articolo 119, le operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese, per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio.

Quanto al concetto di investimento, sempre ai fini di cui all'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, nell’art. 3 comma 18 della predetta legge, viene indicato ciò che costituisce investimento, e cioè:

a) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali;

b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti;

c) l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale;

d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale;

e) l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose;

f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti;

g) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni;

h) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata. In tale fattispecie rientra l’intervento finanziario a favore del concessionario di cui al comma 2 dell’articolo 19 della legge 11 febbraio 1994, n. 109;

i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio.

La legge specifica altresì, al comma 19, che non è ammesso il ricorso all’indebitamento per il finanziamento di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite.

La regola del divieto di indebitamento per spese diverse dagli investimenti è ribadita dall’art. 10, comma 1, L. 24 dicembre 2012, n. 2432 , secondo cui “Il ricorso all’indebitamento da parte delle regioni, dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle province autonome di Trento e di Bolzano è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalità e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato”.

Il giudice delle leggi si è più volte pronunciato in ordine alla legittimità costituzionale delle predette norme.

La Corte Costituzionale, investita della questione di costituzionalità avente ad oggetto la legittimità costituzionale dell’art. 3, commi da 16 a 21, della Legge 24 dicembre 2003 n. 350, ha precisato la nozione di investimento, sussumendo, nel quadro del coordinamento della finanza pubblica, una definizione non perfettamente sovrapponibile alla spesa d’investimento elaborata dalla contabilità pubblica, che la identifica quale spesa da cui deriva un accrescimento diretto del patrimonio dell’ente che effettua la spesa. La Corte ha aggiunto che lo Stato pone “regole specifiche che concretizzano e attuano il vincolo di cui all'art. 119, sesto comma, della Costituzione, in particolare definendo ciò che si intende, a questi fini, per ‘indebitamento’ e per ‘spese di investimento’”. Non si tratta di nozioni determinabili univocamente ed a priori, sulla base della sola disposizione costituzionale, bensì si tratta di “nozioni che si fondano su principi della scienza economica, ma che non possono non dare spazio a regole di concretizzazione connotate da una qualche discrezionalità politica”. Le norme sottoposte al vaglio di costituzionalità3 (in particolare l’art. 3, commi 17, 18 e 19, della legge n. 350/2003) “derivano da scelte di politica economica e finanziaria effettuate in stretta correlazione con i vincoli di carattere sovranazionale cui anche l'Italia è assoggettata in forza dei Trattati europei, e dei criteri politico-economici e tecnici adottati dagli organi dell'Unione europea nel controllare l'osservanza di tali vincoli”. E perciò: “La nozione di spese di investimento adottata appare anzi estensiva rispetto ad un significato strettamente contabile, che faccia riferimento solo ad erogazioni di denaro pubblico cui faccia riscontro l'acquisizione di un nuovo corrispondente valore al patrimonio dell'ente che effettua la spesa4 ”. La spesa effettuata deve comunque concorrere ad accrescere il patrimonio pubblico nel suo complesso, criterio che non irragionevolmente appare aver guidato il legislatore statale nella scelta dell’elenco tassativo della norma (Corte Costituzionale Sentenza 425/2004).

Perciò, l’elencazione contenuta nel citato art. 3, comma 18 della L. 350/2003, ritenuta tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica, “si basa su una nozione di investimento che considera tutti i casi in cui dalla spesa assunta dall’ente deriva un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare”. Quindi, deve sussistere un “aumento della ‘ricchezza’ dell’ente stesso, che si ripercuote non solo sull’esercizio corrente, ma anche su quelli futuri, proprio per giustificare il perdurare, nel tempo, degli effetti dell’indebitamento” (Corte dei conti, SS.RR., deliberazione 28.4.2011, n. 25), ovvero un incremento del patrimonio pubblico nel suo complesso (Corte Cost. 425/2004 citata).

 

3. Per quel che riguarda l’ambito di analisi oggetto della questione di massima, gli enti locali sovente procedono al riconoscimento di debiti fuori bilancio ai sensi dell’art. 194 del TUEL, derivanti da procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità.

La citata disposizione prevede, per il finanziamento delle spese derivanti da debiti fuori bilancio riconosciuti dall’ente, che l’ente locale possa far ricorso a mutui, solo nel caso in cui abbia riconosciuto la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:

a) sentenze esecutive;

b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;

c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali;

d) procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità;

e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

Nello specifico, quindi, l’art.194 comma 1, lett. a) e d), del TUEL ammette il riconoscimento della legittimità di debiti fuori bilancio che derivino da procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità (lett. d) e da sentenze esecutive (lett. a), che fra l’altro definiscono il contenzioso derivante da procedimenti ablatori. Considerato che l’assunzione di mutuo è consentita, per quanto sopra ricordato, solo per spesa di investimento e per investimento si intende anche quello indicato dall’art. 3, comma 18, lett. e) L. 350/2003 citato – cioè l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose -, occorre analizzare la natura della spesa correlata a dette fattispecie ablatorie. Se è indiscussa la natura di investimento della somma che rappresenta l’indennità di esproprio, non altrettanto pacifico è ricomprendere nella nozione anzidetta anche rivalutazione monetaria ed interessi.

L’orientamento già espresso da alcune Sezioni regionali di controllo, peraltro le uniche alle quali sia stata sottoposta detta questione, si basa sulla considerazione che “la fattispecie di cui al menzionato art. 3, comma 18, lett. e) L.350/2003 deve ritenersi circoscritta alle fisiologiche attività di acquisizione di aree, non potendosi ricondurre alla nozione di investimento quegli oneri ulteriori che patologicamente si possano aggiungere in conseguenza di attività o comportamenti illeciti commessi dall’Amministrazione, da cui scaturisca l’obbligo di risarcimento del danno” (Sez. reg. contr. Puglia, deliberazione n. 87/2013/PAR; Sez. reg. contr. Veneto, deliberazione n. 20/2007/PAR), ed ancora che la nozione di investimento “non possa estendersi ad ulteriori accessori quali eventuali spese legali, spese per consulenze tecniche di ufficio o interessi maturati” (Sez. reg. contr. Marche, deliberazione n. 65 /2013/PAR) e che quindi è “consentito il ricorso all'indebitamento esclusivamente per le spese riferite alle indennità di esproprio, mentre deve escludersi la possibilità di finanziare mediante indebitamento ulteriori oneri quali eventuali spese legali, spese per consulenze tecniche di ufficio, fattispecie di risarcimento del danno o eventuali interessi maturati” (Sez. reg. contr. Puglia, deliberazione n. 124/2015 PAR; n. 1/2016/PAR). La Sezione delle autonomie, nella pur diversa tematica della concessione di garanzie da parte degli enti territoriali, ha posto in luce in senso generale che “la proficuità deve considerarsi caratteristica essenziale dell’investimento” (Deliberazione n. 30/SEZAUT/2015/INPR). 

La Sezione remittente aggiunge che “somme ulteriori, che siano dovute dall’ente pubblico in conseguenza del mero godimento del bene senza un valido titolo giuridico ovvero del ritardo nel pagamento del valore venale, non possono avere natura di investimento, in assenza di qualsivoglia possibilità giuridico-contabile di tenerne conto ai fini della determinazione del valore patrimoniale del bene comunque acquisito”. Secondo appunto la Sezione regionale di controllo, “l’interpretazione data dalle Sezioni regionali di controllo al combinato disposto degli articoli 194, comma 1, lett. a) e d), TUEL e 3, comma 18, lett. e), l. n. 350 del 2003” …… “rischia di fatto di essere resa vana dalla possibilità che gli enti locali interessati alla copertura di tali debiti hanno di contrarre un mutuo con la Cassa depositi e prestiti per l’intero ammontare della somma dovuta al privato, comprensiva della rivalutazione e degli interessi da ritardo (pur se rimangono escluse le spese di giudizio)” (deliberazione n. 63/QMIG/2016 citata).

In tale contesto interpretativo va preso in considerazione l’orientamento fatto proprio dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.a. (Cdp), con la circolare n. 1280 del 27/6/2013, a tutt’oggi in vigore, richiamata dalla Sezione remittente. La circolare, oggetto dell’analisi odierna, espone in maniera sintetica quanto già previsto nelle precedenti circolari sin dal 2003 (circ. 1251/2003, n.1255/2005). Detto orientamento, reso noto mediante pubblicazione in GU, fa eccezione al divieto di indebitamento per finanziare interessi e rivalutazione monetaria trattandosi in generale di spesa corrente, divieto correlato con lo scrutinio sul limite temporale del 7 novembre 2001. Difatti, la Cdp prevede che gli interessi e la rivalutazione monetaria, eventualmente liquidati con i provvedimenti conclusivi di procedure espropriative, siano ammissibili al finanziamento, sino alla data di deposito del provvedimento, anche qualora gli accordi bonari, i decreti di esproprio o la sentenza siano successivi alla predetta data del 2001. La posizione si fonda sulla considerazione che, nel solo caso di procedure espropriative o di occupazione di urgenza per opere di pubblica utilità, sono finanziabili quali spese di investimento i debiti fuori bilancio derivanti dalle spese per rivalutazione monetaria ed interessi dovuti al proprietario del bene espropriato dall’ente espropriante, calcolati fino alla data di deposito del provvedimento che definisce la procedura espropriativa e che riconosce i predetti oneri rivalutativi, in quanto gli interessi e la rivalutazione monetaria eventualmente liquidati con i provvedimenti conclusivi di procedure espropriative sono considerati come parte integrante del corrispettivo globalmente dovuto dall’ente espropriante, per l’acquisizione al proprio patrimonio del bene espropriato.

A detta della Sezione remittente, appare sussistente una discrasia tra l’orientamento espresso dalle Sezioni regionali di controllo di questa Corte e quello fatto proprio dalla Cassa depositi e prestiti, con le circolari emanate dal 2003 e la attuale n. 1280 del 2013.

Nel quadro ermeneutico duplice, si inserisce l’approccio alla problematica offerto in sede giurisdizionale. Orbene, le Sezioni giurisdizionali regionali hanno deciso su vicende processuali che traggono origine da atti di citazione per l’applicazione dell’art. 30, comma 15 legge 27 dicembre 2002, n 289, disposizione riguardante l’irrogazione delle sanzioni previste, in caso di ricorso all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione.

In particolare, la Sezione giurisdizionale regionale per l’Umbria, nella sentenza 18 marzo 2015, n. 24, ha in primis richiamato il principio interpretativo, secondo il quale il divieto di dare copertura con mutui ai debiti fuori bilancio maturati dopo l’8 novembre 2001, vale solo per quelli che si riferiscono a “spese di parte corrente” e non anche ai debiti fuori bilancio che si riferiscono a “spese di investimento”. Ha poi proceduto ad una interpretazione armonizzata delle due tipologie di debiti fuori bilancio enunciate dall’art. 194, comma 1, alle lettere a) e d) del TUEL, nelle fattispecie ablatorie. In particolare, con riferimento alle sentenze esecutive, la sezione umbra ha affermato che “i debiti fuori bilancio derivanti da ‘sentenze esecutive’, invero, non hanno natura propria, ai fini dell’eventuale copertura con ‘indebitamento’, ex art. 119, comma 6, Cost. Ai suddetti fini, in astratto, esse hanno natura ‘neutra’: non possono, cioè, essere considerate né ‘spese di investimento’, né ‘spese di parte corrente’. E' in concreto, invece, che i riconoscimenti di debito da ‘sentenze esecutive’ acquistano una loro precisa connotazione, assumendo la natura propria della spesa per la quale è sorta la controversia definita con la sentenza”.

Ciò, ovviamente, non può essere sostenuto per le spese processuali, ossia per le spese sostenute che hanno natura di spesa corrente.

Con riguardo alle fattispecie espropriative, pertanto, ribadita la esplicita qualificazione come spese di investimento fatta dall’art. 3, comma 18 lettera e) L. 350/2003, la sentenza ha richiamato gli orientamenti maturati sul punto in seno alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, nonché il diverso orientamento della Cassa Depositi e Prestiti su ricordato. La sentenza della Sezione giurisdizionale per l’Umbria, che qui si richiama, ha affermato di aderire: 

a) all’orientamento delle Sezioni di Controllo, quanto alla natura di “spesa di parte corrente” da riservare a quelle strettamente connesse al processo instaurato sulla procedura espropriativa (“spese legali”, “spese di giustizia”, ecc.); ad esse, infatti, non si correla alcun incremento patrimoniale;

b) all’orientamento della Cassa Depositi e Prestiti, quanto alla natura di “spese di investimento” da riservare a quelle per rivalutazione monetaria ed interessi, dovuti al proprietario dell’area acquisita dall’Ente, fino alla data di deposito della sentenza che definisce la procedura espropriativa e che riconosce gli oneri rivalutativi stessi; tanto indipendentemente dalla natura dell’occupazione d’urgenza.

Secondo i giudici, “la soluzione offerta dalla Cassa Depositi e Prestiti, invero, tiene conto anche delle modalità concrete delle acquisizioni espropriative (in larga parte soggette a contenzioso) e dei tempi occorrenti per la loro realizzazione, bilanciandone - secondo canoni di giustizia, oltre che di intrinseca ragionevolezza e congruità - le ricadute economiche sui valori dei beni a confronto: area espropriata e prezzo pagato. E ciò prescindendo, quanto a quest’ultimo, del relativo nomen (“indennità” o “risarcimento”), legato al procedimento seguito per la sua concreta determinazione (provvedimento amministrativo, accordo bonario o sentenza)”. Perciò, “il procedimento giudiziale che conclude la procedura espropriativa illegittima viene principalmente in rilievo quale metodo di determinazione in concreto del prezzo dovuto per l’area acquisita.”

Nella stessa qualificazione interpretativa si muove altra sezione giurisdizionale, affermando, in caso di procedura espropriativa, che “….alla luce delle peculiarità che caratterizzano la fattispecie, può ravvisarsi una spesa di investimento atteso che il risarcimento del danno, comprensivo degli interessi e della rivalutazione monetaria (tali poste nei debiti c.d. di valore, a differenza di quelli c.d. di valuta, non costituiscono accessori del credito), è la contropartita della possibile stabilizzazione dell’acquisto in capo all’Amministrazione, che, pertanto, acquisisce un bene nel proprio patrimonio, con possibilità di qualificare la predetta spesa in conto capitale” (Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, sentenza 24.6.2015, n. 649).

La tipologia del debito è stata oggetto di approfondimento da parte della Corte di Cassazione, che ha chiarito la differenza tra debiti c.d. di valore, e quelli c.d. di valuta, affermando che “le obbligazioni di valore si qualificano tali allorché l’oggetto diretto e originario della prestazione consista in una cosa diversa dal denaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto, mentre sono di valuta le obbligazioni aventi fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro” (cfr. Cassazione civile, sez. I, sentenza del 20.1.1995, n. 634). L’obbligazione pecuniaria nei debiti di valore non è originaria e l’importo dovuto deve necessariamente esprimere il valore effettivo dell’obbligazione primaria sostituita, tenendo conto delle oscillazioni del potere di acquisto della moneta. Il debito di valore si converte in debito di valuta quando diventa incontestabile la sua liquidazione, cioè quando diventa definitiva la sentenza che procede alla liquidazione. Da quel momento vi è l’assoggettamento del debito al principio nominalistico, regolato dall’art. 1224 cod. civ. (Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 31 gennaio – 2 aprile 2014, n. 7697).

Di recente si è pronunciata la Corte europea dei diritti dell’uomo in ordine all’indennità di espropriazione (Corte Europea Diritti dell'Uomo, sez. IV, sentenza 14 aprile 2015 n. 22432/03). La sentenza CEDU (caso Chinnici c/Italia) ha stabilito inequivocabilmente che l’indennità di espropriazione di un’area per pubblica utilità, anche se svolta in maniera legittima, è comunque oggetto di rivalutazione monetaria. Molto spesso la stima indennitaria approda ad un esito finale dopo il trascorrere di tempi anche molto lunghi, nel corso dei quali assume rilievo il fenomeno inflattivo. Nel caso citato da ultimo, di espropriazione legittima, la Corte EDU, richiamando i propri precedenti in materia5 , ha riconosciuto l’inadeguatezza dell’indennità di esproprio accordata al ricorrente, in quanto la somma concessa rispecchiava unicamente il valore venale del bene all’epoca dell’espropriazione oltre agli interessi, ma non la rivalutazione per l’inflazione. Perciò i giudici di Strasburgo hanno constatato la violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 CEDU, relativo alla protezione della proprietà, ed hanno ritenuto che l’indennizzo ottenuto dal ricorrente per l’espropriazione subita non ha potuto porre rimedio alla perdita del bene, e che quindi le somme indennitarie, pur dovute a titolo di esproprio “legittimo”, debbano essere adeguatamente attualizzate tenuto conto del fenomeno inflattivo, al fine di individuare il valore corrispondente al bene oggetto di ablazione. 

Successivamente tuttavia la Cassazione si è nuovamente pronunciata in senso contrario al riconoscimento della rivalutazione in caso di atto legittimo (Cass. civ. Sez. I, Sentenza 19.05.2015 n. 10190); ciò tuttavia non incide sulla problematica all’odierno esame, perché il giudice nazionale, se del caso, non riconosce la rivalutazione monetaria e non ne deriva alcun problema di finanziamento della spesa.

 

4. Tutto ciò premesso ed alla luce delle predette considerazioni, queste Sezioni riunite ritengono di dover fornire una interpretazione che tenga conto delle argomentazioni prospettate, anche alla luce dell’evoluzione della contabilità degli enti locali, rispettosa dei canoni di trasparenza e veridicità delle rappresentazioni contabili, con maggior attenzione all’ottica economico-patrimoniale. Le Sezioni regionali, sia in sede giurisdizionale che di controllo, nel caso occorra valutare la legittimità del ricorso all’indebitamento e quindi del finanziamento con mutuo della spesa derivante dal riconoscimento di debito fuori bilancio, nell’ambito dello spettro delle procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità, escludono sicuramente dalla riconducibilità al concetto di investimento stesso, stigmatizzato dal legislatore, le somme relative alle fattispecie di risarcimento del danno, di ritardo nel pagamento, spese per fattispecie risarcitorie da illecito ed ancora le spese legali, le spese per consulenza tecnica, le somme senza un valido titolo giuridico e gli interessi moratori (la locuzione nei pareri resi dalle Sezioni di controllo: interessi eventualmente maturati).  

Difatti, ciò che appare controverso, secondo la Sezione Marche, ai fini della qualificazione di spesa di investimento, sono la rivalutazione e gli interessi, relativi a procedure espropriative. Solo la Sezione remittente pone in realtà la problematica relativa alla qualificazione della rivalutazione monetaria (peraltro non indicata nella nota del Comune richiedente il parere) e stigmatizza il dubbio, ancorché non sussistente nella prassi interpretativa, relativamente agli interessi da ritardo, che sono ritenuti comunque esclusi dalla nozione di investimento ai fini dell’indebitamento.

In ordine alla rivalutazione monetaria è fuor di dubbio che la predetta sia da qualificare spesa di investimento, per i motivi suesposti e per la costante giurisprudenza della CEDU, che, come già detto, ritiene necessario calcolare anche la rivalutazione oltre all’indennità di esproprio, addirittura in caso di procedura legittima, per dare valore al trascorrere del tempo nella valutazione del corrispettivo all’ablazione del bene.

In ordine al quesito posto dal Comune, si ribadisce l’esclusione dalla nozione di investimento degli interessi moratori, gli unici indicati nella richiesta di parere, e quindi dalla copertura finanziaria attraverso mutuo.

In sede di liquidazione, qualora unitamente alla rivalutazione si accompagnino gli interessi, riconosciuti e conteggiati fino alla data del deposito della sentenza, che a differenza di quelli moratori, dovessero risultare direttamente riconducibili all’attualizzazione del complessivo adeguato “prezzo” del bene espropriato, tale da rappresentare il correlato valore dell’investimento, è consentita l’assunzione del mutuo per il finanziamento del debito fuori bilancio relativo a dette somme, comunque solo nei limiti dell’importo che l’ente iscrive nel conto del patrimonio, in ossequio ai principi contabili volti ad assicurare una rappresentazione contabile veritiera, corretta e prudente.

Alla luce delle suddette argomentazioni, queste Sezioni riunite ritengono che siano finanziabili con mutuo i debiti fuori bilancio derivanti da procedure espropriative - oltre ovviamente all’indennità di esproprio - relativamente alle somme eventualmente liquidate, con il provvedimento conclusivo, per rivalutazione monetaria e interessi fino al deposito della sentenza - ugualmente qualora il procedimento ablatorio si concluda con provvedimento o accordo tra le parti -, atteso che rivalutazione ed interessi sono da considerare come parte integrante del corrispettivo globalmente e concretamente determinato, dovuto al creditore dall’ente espropriante per l’acquisizione al proprio patrimonio del bene espropriato; e ciò nei limiti rigorosi quantitativi della contabilizzazione nel conto del patrimonio dell’ente.

 

 

P.Q.M.

La questione sottoposta all’esame delle Sezioni riunite in sede di controllo va risolta alla stregua delle considerazioni che precedono.

 

IL RELATORE

Alessandra SANGUIGNI

IL PRESIDENTE

Angelo BUSCEMA

 

Depositato in segreteria in data 27 luglio 2016

 

IL DIRIGENTE

Maria Laura IORIO

 

 

 

1 Nei medesimi termini la sentenza della Corte costituzionale 10 aprile 2014, n. 88, in vista del perseguimento degli obiettivi di tutela dell’unità economica della Repubblica e nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di cui al comma 21 dell’art. 3 della legge 350 citata. 

2 Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione. 

La Corte ha dichiarato incostituzionale solo il comma 20. 

4 “Comprende infatti ad esempio i trasferimenti in conto capitale destinati alla realizzazione degli investimenti di altri enti pubblici (comma 18, lettera g), o gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio (comma 18, lettera i)” (Corte Cost. 425/2004 citata). 

 5  Già nelle sentenze Scordino c/Italia del 2006 (ric. n. 36813/1997), in Raffinerie Greche Stran e Stratis c. Grecia del 1994 e Motais de Narbonne c/Francia del 2002.